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Cosa vuoi che è,
non voglio che
ti senti
a disagio,
se vuoi che te lo lo prendo io
non ci sarebbe problemi,
basta che tu
non mi dici sempre
questa cosa
arcana
del
congiuntivo.
Pensavo : oh sì, zia Habìba, anch’io sarò una maga.
Mi lascerò alle spalle questa vita stretta e codificata
che mi aspetta negli angusti vicoli della Medina
e contemplerò i sogni.
Scivolerò oltre l’adolescenza, tenendomi la fuga stretta al petto,
come le giovani europee stringono i loro partner nella danza.
Le voglio tenere care le parole
e coltivarle per illuminare
le notti scure, e per demolire
le mura e i cancelli degli gnomi.
Mi sembra tutto facile, a guardarvi,
zia Habìba, Shàma, sparire e comparire
tra le tende del fragile teatro,
fragili voi, nel cuore della notte, sulla terrazza lontana,
eppure così piene della vita, nutrici e custodi di meraviglie.
Diventerò una maga.
cesellerò parole
che danno corpo ai sogni,
e renderanno vane le frontiere.
Se un giorno ti ammalerai di parole, come a tutti noi succede, e sarai stanca di sentirle, di dirle. Se qualsiasi parola sceglierai ti sembrerà sprecata, senza luce, sminuita. Se avrai la nausea quando senti “orribile” o “fantastico” per qualsiasi fatto, non ti curerai, ovviamente, con una zuppa di lettere. Farai quanto segue: cuocerai al dente un piatto di spaghetti che condirai con il sugo più semplice , aglio olio e peperoncino. Sulla pasta già rimescolata con l’intingolo suddetto, grattugerai uno strato di parmigiano. Al lato destro del piatto fondo colmo di spaghetti conditi come ti ho detto, metterai un libro aperto .Di fronte, un bicchiere colmo di vino rosso secco. Al lato sinistro, metterai un libro aperto. Qualsiasi altra compagnia non è consigliabile. Sfoglierai a caso, le pagine dell’uno e dell’altro, ma entrambi devono essere di poesia. Solo i buoni poeti ci curano dalla saturazione di parole. Solo il cibo semplice ed essenziale ci cura dai peccati di gola.
Trattato di culinaria per donne tristi
di Hèctor Abad Faciolince
[…] E anche questo deve essere parte della nostra lotta per la libertà. Dobbiamo aiutare i giovani inglesi a togliere dai loro cuori l’amore delle medaglie e delle decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per coloro i quali cercano di dominare in se stessi l’istinto combattivo, l’inconscio hitlerismo. Dobbiamo compensare l’uomo per la perdita delle sue armi.
Il rumore di sega sulle nostre teste aumenta. Tutti i riflettori puntano in alto, verso un punto sito esattamente sopra questo tetto. In qualunque momento può cadere una bomba in questa stanza. Uno due tre quattro cinque sei… passano i secondi. La bomba non è caduta. Ma durante quei secondi di attesa, l’attività del pensiero è cessata.. È anche cessato ogni sentimento, tranne un opaco rumore. […] L’emozione della paura e dell’odio è pertanto sterile, non fertile. Non appena la paura scompare, la mente affiora di nuovo e istintivamente cerca di rivivere creando. […] Ritornano le voci degli amici; frammenti di poesia. Ognuno di questi pensieri, anche nella memoria era assai più positivo, rinfrescante, consolatore e creativo di quanto non lo fosse quell’opaco spavento, fatto di paura e di odio. Perciò, se vogliamo compensare quel giovane della perdita della sua gloria e della sua arma, gli dobbiamo aprire l’accesso ai sentimenti creativi. Dobbiamo fabbricare felicità. Dobbiamo liberarlo dalla macchina. Dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione, all’aperto. Ma a che cosa serve liberare il giovane inglese, se il giovane tedesco e il giovane italiano rimangono schiavi?
I riflettori ondeggiano sulla pianura, hanno trovato finalmente l’aereo. Da questa finestra si può vedere un piccolo insetto argentato che gira e si contorce nella luce. I cannoni sparano e sparano. Poi smettono. Probabilmente l’attaccante è stato colpito, dietro il colle.
L’altro giorno, uno dei piloti riuscì ad atterrare in un campo qui vicino. In un inglese abbastanza tollerabile, disse ai suoi catturatori: «Come sono contento che la lotta sia finita!». Poi un inglese gli diede una sigaretta, e un inglese gli offrì una tazza di tè. Questo starebbe a dimostrare che se si riesce a liberare l’uomo dalla macchina, il seme non cade in un suolo completamente sterile. Il seme può essere ancora fertile…
"Pensieri di pace durante un’incursione aerea " di Virginia Woolf
PENSIERI VOLONTARI
"Il volto libero delle parole"
di paolo simoncini
primo lavoro di "Web Writers Group`s – Libera associazione di scrittura solidale"
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Il ricavato della vendita di questa raccolta di opere del "WWG" verrà interamente devoluto alla Associazione LAIF di Roma alla quale tutti gli autori partecipanti hanno ceduto i diritti delle opere inserite.
Nel mio piccolo ho partecipato anch’io a questa iniziativa che spero abbia il riscontro che merita perché quando si parla di solidarietà le parole non bastano. Di nuovo grazie Paolo per questa splendida iniziativa, per la tua volontà di "fare", per il tuo entusiamo e per il tuo impegno che hai saputo trasmetterci, e un abbraccio per la fiducia la stima che ricambio di tutto cuore.
Questo post mi sembre un bel modo per chiudere l’anno e per augurare a tutti voi di trascorrere delle serene Feste di Natale…ricordiamoci che regalare un sorriso, un’emozione o una speranza non costa poi molto…
L’autostima, l’autostima, sempre l’autostima, non se ne può piu di questa maledetta autostima, diceva mio marito (ex) Jacopo. Gli dava sui nervi la parola, quella velleità psico-scientifica. Ma voi (io e le mie amiche), voi lo direste che Giovanna d’Arco si autostimava? E Giuditta, mentre tagliava la testa di quello là? E Lucrezia Borgia mentre faceva fuori i suoi amanti? c’era una parola che definiva benissimo la cosa: orgoglio. La storia era piena di donne orgogliose, Cleopatra, Caterina di Russia, matrone romane, poetesse, che ne so. Pieno. Autostima era una parola da poveracce, da casalinghe: autopulente, autofriggente, autosmacchiante…
[..] Ciò non toglie che io abbia deciso il divorzio per autostima, Cleopatra o non Cleopatra. Orgoglio sembra una parola troppo forte, per me, per noi, di questi tempi.
"donne informate sui fatti" di Carlo Fruttero.
Non amo particolarmente il romanzo giallo ma il libro m’incuriosiva e non mi pento di averlo acquistato. Originale la scrittura, la costruzione della storia che si dipana attraverso la "voce" di 8 donne, la bidella, la barista, la carabiniera, la figlia, la migliore amica, la giornalista, la volontaria e la vecchia contessa…tutte "informate" sui fatti …
Non siamo piu capaci di orgoglio? . L’orgoglio viene spesso visto come qualcosa di negativo, affiancato spesso alla testardaggine fine a se stessa, oppure alla superbia. Invece no. L’orgoglio è un sentimento che và anche coltivato quando ci rende determinati, quand’è capacità di riconoscere i propri meriti o quelli delle persone che amiamo, quando ti incita a reagire oppure quando "t’invita" a lasciar correre…l’orgoglio è l’arma usata per impedire di farci mettere i piedi in testa. Da qui all’autostima il passo è breve, forse. Un cerchio che si chiude se non fosse che l’orgoglio, se assunto in quantità eccessive, può accecare, far smarrire la rotta…
Il primo libro di un’analista e cantastorie che ricostruisce attraverso fiabe, miti e racconti popolari vari archetipi femminili dimostrando come ogni donna possa e debba riappropriarsi della sua identità di Donna Selvaggia (istinto e capacità visionaria), senza pregiudizi e censure. Un libro di storie di donne, poste come segnali lungo il cammino. Da leggere a piccoli sorsi per gustarlo al meglio, e perché no, anche consigliato agli uomini che vogliono correre con le donne che corrono con i lupi. Qui di seguito la prefazione e un piccolo assaggio tratto dalla lunga introduzione.
Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l’ombra della donna selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l’ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe.
La fauna selvaggia e la Donna Selvaggia sono specie a rischio. Nel tempo, abbiamo visto saccheggiare, respingere, sovraccaricare la natura istintiva della donna. Per lunghi periodi è stata devastata, come la fauna e i territori selvaggi. Per alcune migliaia di anni, e basta guardarsi indietro perché la visione si ripresenti, resta relegata nel più misero territorio della psiche. I territori spirituali della Donna Selvaggia, nel corso della storia, sono state distrutte, i cicli naturali costretti a diventare ritmi innaturali per compiacere gli altri. Non a caso le antiche lande selvagge del nostro pianeta scompaiono a mano a mano che svanisce la comprensione nella nostra natura selvaggia. Non è poi tanto difficile comprendere come mai le foreste antiche e le donne anziane sono considerate risorse di scarsa importanza. Non è un mistero insondabile. Non è mera coincidenza se i lupi e coyote, gli orsi e le donne un po’ selvagge godono di una reputazione simile. Tutti si rifanno ad archetipi istintuali tra loro connessi, e pertanto erroneamente considerati privi di grazia e gentilezza, totalmente e istintivamente pericolosi e rapaci. La donna moderna è una confusione di attività. E’ spinta e costretta a essere tutto e tutti. L’antica sapienza ha ormai fatto il suo tempo.[..]
E’ in questa relazione fondamentale, essenziale, fatta di forze naturali che siamo nate, e da esse nella nostra essenza siamo anche derivate. La comprensione della natura della Donna Selvaggia non è una religione ma una pratica. E’ una psicologia nel suo più senso : psukhé/psiche, anima; ology o logos, una conoscenza dell’anima. Senza di lei, le donne sono senza orecchie per intendere il parlare dell’anima o per registrare la cadenza dei loro intimi ritmi. Senza di lei, gli occhi interiori delle donne sono chiusi da una mano indistinta, e gran parte dei loro giorni trascorrono in una noia semiparalizzante, oppure in chimere. Senza di lei le donne perdono la sicurezza del loro cammino coraggioso. Senza di lei dimenticano perché sono qui, trattengono quanto farebbero meglio a lasciar andare. Senza di lei prendono troppo o troppo poco o niente del tutto. Senza di lei restano in silenzio quando stanno ardendo. La Donna Selvaggia è il loro regolatore, il loro cuore, così come il cuore umano regola l’organismo. Quando perdiamo contatto con la psiche istintiva, viviamo in uno stato prossimi alla distruzione; immagini e poteri naturali per il femminino non è consentito il pieno sviluppo. Quando una donna è staccata dalla sua fonte essenziale, risulta sterilizzata, e i suoi istinti e i suoi cicli naturali di vita vanno perduti, soggiogati dalla cultura, o dall’intelletto o dall’io, propri o altrui.[..]
Con la Donna Selvaggia come alleata, guida, modello, maestra, noi vediamo non con due occhi ma con gli occhi dell’intuito, siamo come una notte stellata: fissiamo il mondo con migliaia di occhi. La Donna Selvaggia porta con sé tutto ciò di cui una donna ha bisogno per essere e sapere. Porta il medicamento per tutto. Porta storie e sogni e parole e canzoni e segni e simboli. E’ nel contempo veicolo e destinazione. Riunirsi alla natura istintuale non significa disfarsi, cambiare tutto da sinistra a destra, dal nero al bianco, spostarsi da est ad ovest, comportarsi da folli o senza controllo. Non significa perdere le proprie socializzazioni primarie, o diventare meno umane. Significa piuttosto il contrario. La natura selvaggia possiede una ricca integrità. Significa fissare il territorio, trovare il proprio branco, stare con orgoglio e sicurezza nel proprio corpo indipendentemente dai suoi doni e dai suoi limiti, parlare e agire per proprio conto, in prima persona, essere consapevoli, vigili, rifarsi ai poteri femminili innati dell’intuito e della percezione, riprendere i propri cicli, scoprire a cosa si appartiene, levarsi con dignità, conservare tutta la consapevolezza possibile.[…]
Dunque cos’è la Donna Selvaggia? Dal punto di vista della psicologia archetipa cosi come per la tradizione dei cantastorie è l’anima femminile. Eppure è di più; è la fonte del femminino. E’ tutto quanto è istinto, è un insieme di mondi visibili e nascosti, è la base. Ognuna di noi riceve da lei una cellula splendente che contiene tutti gli istinti e le conoscenze necessarie per la vita. E’ la forza Vita/Morte/Vita, è l’incubatrice. E’ intuito, veggenza, colei che sa ascoltare, è il cuore leale incita gli esseri umani ad essere multilingui; spediti nei linguaggi dei sogni, della passione e della poesia. Sussurra nei sogni notturni, si lascia dietro, sul terreno dell’anima di una donna, un capello ruvido e impronte fangose, che ricolmano il desiderio di trovarla, di liberarla, di amarla. Lei è idee, sentimenti, impulsi e memoria. La si è perduta, pressoché dimenticata per tantissimo tempo. E’ la fonte, la luce, la notte, l’oscurità, e l’alba. E’ l’odore del buon fango e la zampa posteriore della volpe. A lei appartengono gli uccelli che rivelano segreti. E’ la voce che dice “Da questa parte, di qua”. E’ colei che tuona contro le ingiustizie. E’ colei che gira come una grande ruota, e’ la fattrice dei cicli. E’ colei che lasciamo a casa affinché la custodisca. E’ colei da cui andiamo a casa. E’ radice infangata di tutte le donne. E’ quella che ci fa’ andare avanti quando pensiamo di essere finite. E’ l’incubatrice di piccoli idee grezze e di accordi. E’ la mente che ci pensa, noi siamo i pensieri che lei pensa. Dov’è presente? Dove potete sentirla, dove trovarla? Percorre i deserti, i boschi, gli oceani, le città, va nei barrios e nei castelli. Vive tra le regine, tra le campesinas ,in sala di consiglio, in fabbrica, in prigione, sulla montagna della solitudine. Vive nel ghetto, all’università e nelle strade. Lascia per noi delle impronte in cui misurare il piede. Lascia impronte ovunque ci sia una donna che è terreno fertile. Dove vive la Donna Selvaggia? In fondo al pozzo, nel corso superiore dei fiumi, nell’etere senza tempo. Vive nella lacrima e nell’oceano. Vive nella linfa degli alberi. E’, dal futuro e dall’inizio dei tempi. Vive nel pas
sato e ha un posto al nostro tavolo, sta dietro di noi in fila, e sta davanti a noi per la strada. E’ nel futuro e torna indietro nel tempo per trovarci ora. Vive nel verde che sbuca tra la neve, vive negli steli fruscianti del morente grano d’autunno, vive dove i morti vengono per un bacio e i vivi inviano le loro preghiere. Vive nel luogo in cui si fa linguaggio. Vive di poesia e percussione e canto. Vive nei quarti di tono e di note di passaggio, e in una cantata, in una sestina, nei blues. E’ nell’attimo che precede l’ispirazione che ci abbaglia. Vive in un luogo lontano che a forza si apre un varco verso il nostro mondo.[…]
Il problema è che pensiamo di avere molto tempo a disposizione. Cosi diciamo domani. E quando domani arriva siamo irrimediabilmente vecchi. Allora diciamo ieri.Smettiamo di sperare e cominciamo a ricordare. B. Garlaschelli |
"Pensai che la gentilezza disinteressata delle persone, le loro parole spassionate, fossero come un abito di piume.Avvolta da quel tepore, finalmente libera dal peso che mi aveva oppresso fino a quel momento, la mia anima stava fluttuando nell’aria con grande gioia"
L’abito di piume di Banana Yoshimoto.
L’abito di piume (Hagaromo) è un particolare kimono leggerissimo che le donne-angelo, figure mitologiche, indossano per volare fra il mondo terreno e l’aldilà. Una metafora azzeccata in questo libro che si muove tra realtà e mistero …mi è piaciuto perché non traccia confini netti, ma si snoda tra fatti facilmente comprensibili (una stroia d’amore che finisce con tutto quello che segue…) ed eventi inspiegabili, misteriosi, che s’intrecciano conducendo la pratagonista a ritrovare la serenità perduta. Gli occhi non bastano per "vedere"….Leggero, leggero….sì, si legge d’un fiato.